Restorativeness: il contatto con la natura. Una prospettiva psicologica.

Pubblicato il da Maria Lepri

Vi siete mai chiesti perché passare una tranquilla giornata al mare o in montagna fa sentire bene e riposati? Perché dopo una vacanza all’aria aperta ci sentiamo rigenerati dallo stress e facciamo fatica a tornare alla monotonia della città? Cosa degli ambienti naturali ci attrae rispetto agli ambienti costruiti?
Alcuni esperti hanno provato a dare una risposta a queste domande attraverso il concetto del processo rigenerativo. La Restorativeness (in italiano “rigeneratività”) è infatti un campo di studio relativamente nuovo della psicologia ambientale e si occupa del processo di rinnovamento, ripresa o ristabilimento delle risorse fisiche, psicologiche e sociali, diminuite durante i continui sforzi di andare incontro alle richieste di adattamento all’ambiente.
I processi rigenerativi non sono specifici di un particolare ambiente, ma possono procedere più prontamente o lentamente in alcune attività e ambienti piuttosto che in altri. Gli ambienti che riescono a promuovere un recupero psicologico possono essere definiti “rigenerativi” e sono caratterizzati, tra l’altro, da un’assenza relativa di richieste.
In particolare, due teorie hanno guidato gran parte della ricerca sugli ambienti rigenerativi ed entrambe si sono incentrate principalmente sulla ricerca di quegli aspetti degli ambienti naturali che suscitano risposte emotive di tipo rigenerativo.
Secondo la Teoria sul Recupero dell’Attenzione (ART) di Kaplan (1989), ad esempio, una persona può recuperare una diminuita capacità di dirigere volontariamente l’attenzione quando sperimenta il “fascino”, una modalità di attenzione involontaria che non richiede sforzi e non ha limitazioni di capacità. Il fascino da solo non è sufficiente a spiegare la rigeneratività, per cui il modello di Kaplan (1989) prende in considerazione nel complesso quattro componenti ambientali che riescono a rigenerare la capacità di attenzione focalizzata: Being-away (un cambiamento di scenario e di esperienza rispetto alla vita di ogni giorno); Extent (le proprietà di coerenza e scopo negli ambienti); Fascination (la capacità degli ambienti di attirare l’attenzione, senza richiedere sforzo mentale volontario); Compatibility (il grado di adattamento tra le caratteristiche dell’ambiente e i propositi e le inclinazioni individuali).
In contrasto con la prospettiva cognitiva di Kaplan, il modello teorico di Ulrich (1983) postula invece che sia l’immediatezza a giocare un ruolo fondamentale nelle risposte emotive agli ambienti naturali e ad avere notevoli influenze sull’attenzione, sul processo di elaborazione conscio, sul comportamento, e in generale sui processi di risposta che sono funzionali alla sopravvivenza e al raggiungimento del benessere. L’interesse e l’attenzione saranno la componente principale delle risposte rigenerative alle scene naturali, così come le risposte stressanti saranno proprie degli ambienti che contengono rischi o minacce. Secondo questo modello, i fattori che influenzano la preferenza ambientale sono di tre tipi: relativi al soggetto, come l’età, lo stato d’animo, le conoscenze; relativi all’ambiente, come il fatto che sia naturale o costruito, la luminosità, il rumore, etc; relativi all’interazione uomo-ambiente, come il grado di funzionalità dell’ambiente e la presenza nell’ambiente di organismi viventi o di altre persone. L’incontro tra certe caratteristiche fisiche dell’ambiente e le aspettative del soggetto fa scattare la valutazione affettiva e il giudizio di preferenza o di rifiuto del soggetto.
In questi tempi così frenetici, quali riflessioni possono scaturire rispetto alla vita quotidiana, a partire da queste teorie?
Pensiamo alla vita in città, agli spostamenti quotidiani sui mezzi pubblici, al traffico, al tempo trascorso in auto per raggiungere il posto di lavoro e anche solo per parcheggiare, all’inquinamento atmosferico e acustico, ai palazzi che nascondono il cielo e l’orizzonte. Si può immaginare quanto un aumento delle aree verdi e una loro adeguata manutenzione potrebbero essere fondamentali per il benessere delle persone, soprattutto nelle grandi città e nelle aree fortemente urbanizzate. Adattare la progettazione e la costruzione delle aree verdi alle esigenze degli abitanti di un quartiere, tenendo conto di variabili come età, cultura, disabilità, prendere seriamente in considerazione l’aspetto emozionale che suscita un particolare ambiente naturale nelle persone, fare in modo che i “polmoni verdi” siano curati e mantenuti il più possibile, aiuterebbe non solo a “rigenerare” chi vive nella metropoli, bensì anche a favorire l’aggregazione tra le persone, prevenendo alcune note e attuali forme di isolamento sociale.
Queste considerazioni valgono ancor di più se ci spostiamo dagli spazi allargati agli spazi lavorativi, che come sappiamo non suscitano quelle risposte rigenerative che può suscitare un ambiente naturale. Pensiamo a quanto potrebbero migliorare la qualità di vita e la prestazione lavorativa se fosse possibile lavorare in un ambiente spazioso, fresco, luminoso e poco rumoroso, tutte caratteristiche che facilitano la concentrazione e la preferenza ambientale, proprio perché rievocano un ambiente naturale e rigenerativo. E pensiamo, invece, agli uffici, alle aziende, alle fabbriche, agli stessi ospedali e alle stesse scuole, così come li conosciamo. Fatte salve le dovute eccezioni, in molti ambienti di questo tipo vi sono pochi colori caldi e poche piante, vi si trovano perlopiù luci fredde e arredamento spigoloso, si sente tanto rumore, si scorgono macchinari dappertutto. Nei peggiori dei casi, gli edifici sono vecchi, si sta in tanti in stanze strette, con poche finestre e poco ossigeno, o si attende in lunghi corridoi angusti. Quanto può essere logorante trascorrere la maggior parte della propria giornata in un posto che risulta essere sempre uguale a se stesso, poco stimolante, poco rigenerante, poco naturale? Quanto questo logoramento incide sulla prestazione lavorativa, sull’assenteismo, sul burn-out, sulla qualità dell’intera esistenza della persona?
Prendendo spunto proprio dalle teorie succitate, sarebbe auspicabile che i luoghi di lavoro fossero “sostenibili” per chi li frequenta tutti i giorni, che gli spazi fossero realmente funzionali agli scopi e alle aspettative del lavoratore, che l’arredamento fosse ergonomico, che le pareti fossero tinteggiate di colori caldi, che qui e lì spuntasse il verde di qualche pianta o l’arancione di un quadro, che in generale ci fosse la giusta attenzione a integrare in maniera armonica uomo, macchina e ambiente. In un ambiente privo di fonti di stress, come luci e rumori aggressivi, e costruito il meno possibile in maniera artificiale, anche il rendimento lavorativo migliora, perché vi si trovano maggiormente caratteristiche stimolanti che favoriscono la concentrazione e che non aumentano stati preesistenti di ansia o stress. E se il rendimento lavorativo migliora, vuol dire da un lato che il singolo affronta serenamente la giornata, dall’altro che l’intera azienda, o comunque l’intero sistema in cui si trova, ne avrà un ritorno in termini di un buon funzionamento generale. Tutto ciò vale non solo per gli ambienti lavorativi, ma anche per gli ambienti scolastici. Immaginiamo quanto possa giovare ai bambini, alla loro attenzione e alla loro socialità, svolgere alcune delle attività scolastiche all’esterno, magari proprio a contatto con la natura. La possibilità di dedicare del tempo a un’attività sportiva, manuale o di altro tipo (come la lettura all’aperto, ad esempio) da svolgere al di fuori delle mura scolastiche, in uno spazio verde in cui si possa toccare la terra e accarezzare un animale, aumenterebbe la loro motivazione ad affrontare gli impegni scolastici e probabilmente il loro benessere generale.
Chiaramente non possiamo totalmente cambiare le città in cui viviamo, molto spesso non possiamo cambiare lavoro se non risponde ai nostri desideri, e pochi di noi possono mollare tutto per andare a vivere in campagna, ma a livello di politiche amministrative e aziendali basterebbe agire dei cambiamenti su dettagli che appaiono irrilevanti, per poter mirare a un maggiore benessere e a una migliore qualità della vita sia del singolo che di un’intera società.


Kaplan, R., & Kaplan, S. (1989). The experience of nature: A psychological perspective. New York: Cambridge University Press.
Ulrich, R. S. (1983). Aesthetic and affective response to natural environment. In I. Altman & J. F. Wohlwill (Eds.), Behavior and the natural environment (pp. 85-125). New York: Plenum.

Articoli Recenti

Categorie