Salutismo alimentare. È sempre… salutare?

Pubblicato il da Cinzia Funicelli

Il cibo che ingeriamo può curarci oppure ammalarci. Un’alimentazione sana e varia, abbinata a uno stile di vita poco stressante, allontana dalla possibilità di soffrire di malattie cardiovascolari, pressione alta, disturbi gastrointestinali, cefalee, o di sviluppare malattie più serie, come i tumori. Inoltre, considerando le reciproche influenze tra corpo e psiche, una buona nutrizione non può non avere effetti benefici sull’umore.
D'altra parte, ansie, paure, preoccupazioni, aspetti caratteriali, stati d’animo, possono determinare la maniera in cui ci si alimenta. Il cibo può essere considerato il “ponte” tra corpo e psiche per eccellenza. In virtù del fatto che “entra” nel nostro organismo e lì si trasforma per diventare, in parte, sostanza nutritiva, in parte, scarto da espellere, assume un elevato valore simbolico. Varca il nostro confine, riempie, la sua assenza fa sentire vuoti. Ciò spiega il motivo per cui si sviluppano i disturbi del comportamento alimentare.
Senza arrivare ai noti disturbi in questione, è possibile riflettere su questo aspetto, prendendo in considerazione una tendenza che negli ultimi anni si è diffusa sempre di più nei Paesi maggiormente sviluppati, ovvero il salutismo e l'attenzione eccessiva nei confronti di una corretta alimentazione. La maggiore circolazione delle informazioni rispetto ai decenni precedenti permette di sapere quali abitudini alimentari sarebbero da evitare in quanto nocive a lungo termine e di attenersi a una dieta equilibrata e salutare, tuttavia, in alcuni casi, si assiste a una vera e propria ossessione per l'alimentazione sana, che spesso si traduce paradossalmente in una dieta povera e poco varia. Viene varcato il confine tra una giusta e doverosa attenzione alla propria salute e un tarlo ossessivo che trasforma il cibo in un nemico che nasconde pericoli.
Si inizia, di solito, eliminando dalla dieta qualche alimento, o riducendone l'assunzione, e facendo attenzione a non abusare di grassi, fritture e condimenti. Si va in palestra o a correre. Ci si informa su aspetti nutritivi e biologici. Ci si dà la possibilità di infrangere la “regola” nelle occasioni sociali. Fin qui, si tratta di un'attenzione equilibrata, come nel caso di una dieta vegetariana, che può davvero determinare un buono stato di salute. Il confine di cui sopra viene varcato quando progressivamente il cibo diventa un pensiero fisso nell'arco della giornata, così come la preoccupazione di cosa mangiare e di come prepararlo. Pian piano, si eliminano altri alimenti. Se in principio si trattava solo della carne o dei formaggi, poi si arriva ad eliminare la pasta, i dolci, le uova, come se non bastasse mai. Nei casi più estremi, si arriva ad alimentarsi solo con la frutta o con alimenti crudi. I condimenti vengono ridotti quasi a zero, i dolci vengono preparati con pochissimo zucchero. Si comprano esclusivamente prodotti biologici. Viene tutto pianificato in maniera schematica, dai pasti da preparare al tempo da dedicare all'attività fisica. Complice il bombardamento mediatico, volta per volta si individuano ingredienti da non assumere neanche per sbaglio, per cui si va alla ricerca accanita dell'ingrediente incriminato in ogni prodotto. Molto spesso ci si scopre vagamente allergici o intolleranti a qualche alimento, senza aver avuto responsi medici in tal senso, così da poter aumentare le restrizioni. Cene e aperitivi diventano un problema, perché non si sa cosa mangiare, e neanche in tali occasioni ci si consente di lasciarsi andare a uno strappo, che probabilmente sarebbe salutare.
In casi come questi di alimentazione altamente selettiva, sembra quasi che il fine ultimo non sia più il raggiungimento di un buono stato di salute fisica, ma il controllo in sé per sé.
Probabilmente, gli allarmismi scatenati periodicamente dai media, a partire dalla “mucca pazza” di un po' di anni fa, e l'aumento dei casi di celiachia e di intolleranza alimentare, danno il loro contributo. La paura che qualcosa che mangiamo abitualmente possa nuocere all'intestino, intossicarci, farci ammalare, è sicuramente maggiore rispetto al passato, considerato che adesso si hanno molte più notizie su, ad esempio, gli allevamenti intensivi o l'uso dei pesticidi. Tuttavia, se l'alimentazione diventa davvero un chiodo fisso tanto da influire sull'intera esistenza della persona, allora forse c'è dell'altro.
Forse in una società così “sfilacciata”, virtuale nelle sue espressioni, e al contempo pressante con tutte le difficoltà che comporta nel trovare una collocazione sentimentale, professionale, o politica, è facile avvertire il bisogno di mettere ordine tra i vari stimoli, controllare le invasioni, le contaminazioni e i rischi, alzare una barriera nei confronti di ciò che suscita ansia. Ed ecco che il cibo e il corpo diventano il teatro di una “battaglia” psichica. Esaminare a fondo la composizione chimica di qualsiasi alimento, selezionare con accuratezza estrema gli alimenti che si possono mangiare, pianificare in maniera militaresca ogni pasto, danno l'impressione di poter controllare la propria emotività, di placare le proprie ansie, di essere forte. Viene alzato un confine (apparentemente) invalicabile tra sé e il mondo esterno. Non può entrare tutto. Le preoccupazioni che angustiano vengono trasposte per intero sulla questione “corpo e salute” e condensate in essa, così da poter individuare un pericolo preciso (il cibo e ciò che contiene) e combatterlo. Come avviene in qualsiasi tipo di difesa, ciò rassicura ma al contempo presenta uno scotto da pagare. In questo caso, lo scotto sta nell'alimentazione poverissima, nell'isolamento sociale, nella fatica emotiva che si prova nel mantenere uno stato di continua restrizione.
Il concetto di restrizione porta all'altro aspetto che sembra caratterizzare questi stili alimentari, ovvero la rinuncia al piacere. Gli alimenti che progressivamente vengono banditi sono quelli più gustosi, che fanno venire la cosiddetta acquolina in bocca, o che danno subito la sensazione di sazietà. Non vengono semplicemente ridotti, ma banditi definitivamente in un assolutismo che non ammette deroghe. Riuscire a resistere alle tentazioni e a rinunciare alle fonti di piacere, fa sentire onnipotenti, soddisfatti, in grado di controllare qualsiasi cosa, depurati. E, soprattutto, autosufficienti. Fare uno strappo alla regola, lasciarsi andare, fa sentire immancabilmente in colpa e arrabbiati. Un ideale di perfezione e di purezza interiore sembra guidare tali regimi autoimposti. A questo proposito, si parla spesso di “ortoressia”, un termine che sta a indicare l'ossessione psicologica per il mangiare sano. La radice “orthos” (giusto) del termine fa pensare che ci sia, appunto, una retta via da seguire e da cui non ci si può assolutamente discostare, pena sentimenti di disistima, somatizzazioni, abbattimento.
Sembra molto difficile in questi casi accedere alla dimensione prettamente psicologica e riportare ad essa i significati trasposti sul corpo e sul cibo. Chi si alimenta con tanta rigidità, è altrettanto fermo nell'avallare le proprie convinzioni, e solitamente diffida delle figure professionali che potrebbero aprire delle crepe nelle sue convinzioni. La paura di essere influenzati e “contaminati” da medici, biologi o psicologi, che appaiono immancabilmente in malafede, è spesso presente, forse proprio perché si avvertono i propri confini come molto labili, da qui il bisogno di alzare le barricate, limitare gli “accessi” e diventare in un certo senso autarchici. Per questo, è molto difficile che una persona che si nutra in questo modo si rivolga a un professionista della salute mentale portando il suo stile alimentare come un aspetto problematico.
Eppure, accedere al “mentale” sarebbe molto utile e decisamente più salutare. Ci si potrebbe chiedere quali sono, in realtà, le contaminazioni e le invasioni che si temono, se si sta parlando davvero solo dei confini del corpo o di quali altri confini, quanto è forte il desiderio di lasciarsi andare e perché spaventa così tanto. Si potrebbe mirare a un'alimentazione sana senza arrivare all'estremo della regola tirannica. Si potrebbe mollare la presa della restrizione e provare un senso di libertà smisurato. E forse, chissà, proprio questo spaventa.

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