“Quant’è bella giovinezza…”

Pubblicato il da Cinzia Funicelli

Esce nelle sale italiane “Youth – La giovinezza”, di Paolo Sorrentino, e come accade ogni volta che ci si trova dinanzi a un film atteso, l’opinione del pubblico si spacca in due. Da un lato, gli estimatori, dall’altro i detrattori, entrambe le categorie convintissime di quanto sostengono prima ancora di aver visto il film.
Nel caso di “Youth”, la spaccatura dell’opinione del grande pubblico sembra acquisire una sua specificità in relazione al contenuto stesso della pellicola. All’uscita dal cinema, c’è chi sostiene di aver gradito e apprezzato la fotografia sublime e la recitazione impeccabile dell’eccezionale cast, e di aver provato emozioni di vario tipo, dalla serenità alla nostalgia. C’è, però, anche chi dichiara di non aver provato granché a livello emotivo e di non aver trovato, dietro la perfezione tecnica, chissà quale messaggio, quasi come se quell’impareggiabile bellezza fosse vuota e dimenticabile, e lasciasse lo spettatore distaccato, non emozionato.
Forse è proprio ciò di cui tratta la pellicola, incentrata su due anziani amici in vacanza sulle Alpi svizzere, che si ritrovano a guardare in faccia il poco tempo che è rimasto loro a disposizione e a discutere tra le righe su quale sia la giusta distanza dalle emozioni. Fred è un famoso direttore d’orchestra che da sempre trattiene le sue emozioni, tanto da decidere di andare in pensione senza alcun ultimo concerto che possa fare da congedo; Mick è un regista che, al contrario, si affanna a preparare il suo “testamento”, ovvero la sceneggiatura del suo ultimo film. L’uno considera le emozioni sopravalutate, l’altro crede siano l’unica cosa che conti. Entrambi guardano indietro e si chiedono quanto di ciò che hanno fatto in un’intera vita sia stato dimenticabile e effimero, quanto di ciò che si aspettano possa essere ancora realizzato nel poco tempo che rimane, quanto possano ancora esprimere “giovinezza” con un’idea, un’iniziativa, un affetto. Mentre i giovani “vedono grande e vicino il futuro”, con tutta una vita alle spalle essi “vedono piccolissimo e lontano il passato”, tanto da non riuscire più a ricordare. Intorno a loro, la giovinezza si esprime nel dispiacere di una figlia, nella confusione di un attore che decide di interpretare il “desiderio” e non più “l’orrore”, nella vivacità intellettuale di un gruppo di sceneggiatori, nel corpo meraviglioso di una Miss Universo che mette a nudo anche la sua intelligenza, nell’alpinista goffo che scala il K2 perché è lì che prova libertà e paura. E insieme alla giovinezza, sullo sfondo delle meravigliose Alpi svizzere, intorno a loro si respira la nostalgia e il rimpianto, ben rappresentati da un Maradona obeso che rincorre il pallone come un antico sogno.
Cosa rimane di ciò che si è dato? Della memoria, delle aspettative, del ricordo che gli altri hanno di noi? E se il futuro appare così grande in giovinezza, e il passato troppo piccolo nella vecchiaia, cosa rimane del e nel presente?
Giovinezza e vecchiaia si specchiano, e si riscoprono simili nel desiderio. La giovinezza si spinge in avanti, aspettando che si realizzi l’avvenire. La vecchiaia si spinge indietro, osservando ciò che è stato. Ma anche la giovinezza può osservarsi nel mentre il presente diventa passato, e la vecchiaia può riscoprirsi giovane laddove riesca a partorire un seppur ultimo progetto.
“L’ultimo giorno della vita” si intitola il film “testamento” di Mick, che non sarà mai realizzato. E lui, ormai privo di obiettivi, decide che la vita può anche terminare. Mentre Fred sceglierà di dar voce alle emozioni e nuovamente alla giovinezza, dirigendo il suo ultimo concerto negli ultimi minuti del film. Anche a ottant’anni si può guardare verso il futuro, e vederlo grande.
Memoria, aspettativa, progettualità, desiderio, conclusione: queste le aree tematiche che attraversano il film e che si condensano in un unico grande tema esistenziale, il rapporto con il tempo, cronologico e non. Il tempo degli affetti, del lavoro, del corpo, di ciò che in noi è più impalpabile e di ciò che è più deteriorabile. E si tratta di un tema che può risultare disturbante, in quanto onnipresente in ogni esistenza umana e quindi feroce se sottolineato, oppure può apparire ovvio e scontato per la stessa ragione e quindi non emozionante. Da qui la doppia reazione al film, la commozione e il distacco, forse due facce della stessa medaglia e dello stesso dilemma. Esiste un presente?

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